I fratelli montgolfier e il segreto della lievità

Joseph, dalla cima del colle, osservava i notabili raccolti intorno al congegno di tela e carta muoversi febbrili, come tante, piccole formiche impegnate a contendersi l’ultima briciola di pane. Il sole era sorto da poco e il cielo era ancora livido, cornice metallica di una nuova giornata di giugno dell’anno 1783.

«Sei in ansia, fratello?»

Il passo morbido di Étienne si avvertiva a mala pena sull’erba intrisa di rugiada, mentre prendeva posto accanto alla figura innaturalmente rigida di Joseph, priva di innumerevoli ore di sonno. «La curiosità morbosa di quelle parrucche incipriate finirà per soffocare anche il vento più impetuoso, temo.»

Lo sguardo di Étienne si soffermò sul profilo di Joseph, notevole per la fronte spaziosa e la curva ondulata del naso importante. Non poteva biasimare il suo nervosismo; mesi e mesi di esperimenti, calcoli sui muri e ripensamenti densi di collera avevano preceduto quel momento, la prima dimostrazione pubblica in cui la loro invenzione, il pallone aerostatico ad aria calda, sarebbe passata al vaglio di menti assuefatte a qualsiasi novità.

Ricordava ancora dettagliatamente la sera in cui, tempo addietro, aveva sorpreso il fratello nelle cucine, intento a fissare ruvide stoffe stese ad asciugare sul fuoco: i panni si muovevano, a tratti, sollevandosi delicatamente verso l’alto, quasi a voler fuggire da un calore diventato ormai eccessivo. “C’è qualcosa nel fumo” aveva sussurrato Joseph, “qualcosa capace di compromettere la loro staticità”. E aveva continuato a fissare le fiamme, fino allo spegnersi dell’ultimo tizzone.

Joseph, invece, era solito riportare alla memoria la fantasticheria che lo aveva animato una sera seguente a quell’episodio, durante una lunga e appassionante discussione con se stesso sui vari modi per conquistare una fortezza; nello specifico, una fortezza assolutamente imprendibile via terra: nel suo sogno ad occhi aperti, gruppi di armati cavalcano l’aria, a ondate, sostenuti dalla stessa forza misteriosa che spingeva verso l’alto le scintille – e vecchie stoffe sdrucite – di un fuoco divampato all’improvviso. I soldati, dotati di lucenti corazze di sole, marciavano leggeri, senza peso, alla volta della fortezza, descrivendo nell’etere agili acrobazie degne di un serpente alato.

Eccola, la cosiddetta lievità: il mistero della fisica in grado di staccare un corpo da terra, consegnandolo alle meraviglie di un ignoto interamente da scoprire.

«Funzionerà, Joseph. Dobbiamo soltanto crederlo possibile» disse Étienne, indicando con la mano la folla sempre più numerosa assiepata lungo il perimetro del recinto.

«Anche se quel pallone riuscisse davvero a volare, conosci bene nostro padre: non ci permetterà mai di fare altrettanto» rispose Joseph, in bocca uno sgradevole gusto metallico. Gli zigomi prominenti di Étienne scattarono all’insù, in un sorriso da antico etrusco.

«Tranquillo, fratello. Per nostra fortuna, nessuno ha ancora inventato come trattenere un sogno.»

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